COACHING NUTRIZIONALE: il percorso per un’alimentazione consapevole

Esperto in Medicina Anti-Aging e perfezionato in Dietetica e Nutrizione, il Dottor Emanuele De Nobili vanta una certificazione anche nel campo del Coaching Nutrizionale, acquisita attraverso corsi di alta formazione. Oltre a comprendere appieno l’esperienza alimentare del paziente, guidandolo in modo efficace nel percorso nutrizionale, l’attività del Dottor De Nobili ne valorizza la componente psicologica e motivazionale.

Il coaching nutrizionale è una specializzazione volta al raggiungimento degli obiettivi legati all’alimentazione e alla dieta. Le persone interessate a seguire questo tipo di terapia si incentrano nell’acquisizione di abitudini alimentari salutari.

Il coaching nutrizionale può essere definito come una metodologia di lavoro che offre supporto nel raggiungimento di obiettivi e nella modifica delle proprie abitudini alimentari. In questo modo la persona identifica e supera i propri ostacoli, crea l’ambiente adeguato e adotta l’atteggiamento e la determinazione necessari per raggiungere il cambiamento nella propria alimentazione, riuscendo a sua volta a migliorare altri aspetti personali e dello stile di vita.

In nessun caso comunque il coach nutrizionale sostituisce il lavoro del professionista sanitario con competenze in nutrizione, come il medico o il nutrizionista, ma integra le sue conoscenze tecniche e il trattamento indicato, offrendo il supporto necessario per raggiungere la disposizione e la motivazione verso il cambiamento nello stile di vita del cliente.

Nelle sessioni di coaching il coach non segue il paziente solo nell’ambito nutrizionale, ma lavora anche a livello psicologico ed emotivo affinché sia lo stesso cliente a responsabilizzarsi circa il proprio processo di cambiamento, arrivando ad adottare, così, delle abitudini di vita salutari e durature. Per fare ciò il coach motiva e guida il paziente, potenziandone autostima e fiducia nelle proprie abilità.

Una delle differenze principali tra il coaching nutrizionale e il modello tradizionale delle diete riguarda proprio il ruolo ricoperto dal paziente.
Il coaching nutrizionale si identifica, infatti, come una metodologia pro-attiva, in cui il concetto di paziente cambia da soggetto passivo a soggetto attivo, il quale si assume la responsabilità delle proprie azioni, cosciente dell’importanza di prendersi cura di se stesso. Questa visione fa sì che l’interessato sia il centro e l’origine delle possibili soluzioni o miglioramenti.

Si tratta, dunque, di un lavoro personalizzato tra coach e coachee con l’obiettivo di capire in che modo la vita attuale del paziente contribuisca all’adozione di comportamenti poco salutari, per poi intervenire con strategie ottimali nel cambiamento nella condotta.

Hai mai pensato di seguire una sessione di Coaching Nutrizionale? Il Dottor De Nobili ti offrirà il supporto per rimetterti in forma e aumentare l’autostima!

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DIETA CHETOGENICA: 3 fasi per dire addio ai chili in eccesso!

La dieta chetogenica o VLCKD (very low calory ketogenic diet) deve il suo successo ad un mix di fattori che la rendono efficace e facile da seguire. Permette di perdere 1.5-2 kg circa a settimana, garantendo il raggiungimento del peso desiderato in tempi più brevi rispetto alle diete tradizionali. Un riscontro così gratificante sulla bilancia contribuisce a motivare il paziente nel suo percorso di dimagrimento, grazie anche all’effetto euforizzante dei corpi chetonici, che inibiscono il senso di fame dopo sole 48-72 ore. È proprio sul meccanismo della chetosi che si basa questo programma che favorisce una perdita di peso quasi totalmente a carico del tessuto adiposo, preservando la massa magra grazie all’introduzione di proteine ad alto valore biologico.

Si tratta di un protocollo di transizione per dimagrire e rieducare il metabolismo ad un buon funzionamento in modo tale che, una volta raggiunto il proprio peso forma, si possa tornare ad uno stile alimentare corretto e non alle vecchie “cattive” abitudini. Per questo la dieta chetogenica si compone di 3 fasi, ciascuna delle quali con degli obiettivi intermedi da raggiungere.

La prima fase consiste nella sostituzione dei pasti con degli integratori proteici, dai gusti assortiti sia nel dolce sia nel salato. Questo semplifica la gestione quotidiana della dieta anche fuori casa, facilitando l’aderenza al programma e soddisfacendo il palato del paziente. In questa fase che, generalmente dura dai 14 ai 21 giorni, si raggiunge e mantiene lo stato di chetosi. I corpi chetonici contribuiscono alla scomparsa del senso di fame e, in assenza di zuccheri, l’organismo brucia i grassi convertendoli in fonte di energia.

La seconda fase, che porterà al raggiungimento del peso desiderato, prevede la graduale introduzione delle fonti proteiche tradizionali. Quindi in uno solo dei pasti principali, a discrezione del paziente, sarà possibile consumare alimenti proteici come carne, uova o pesce. Anche in questa fase, così come nella precedente, è consentito assumere delle verdure a basso indice glicemico e piccole quantità di olio crudo per il condimento.

La terza fase, detta anche fase di transizione, è particolarmente delicata: mira alla stabilizzazione e al mantenimento del peso raggiunto. Nel corso di questa fase inizia la reintroduzione graduale e controllata dei carboidrati. Di solito vengono inseriti prima i carboidrati semplici, come frutta e verdura, per poi passare a quelli complessi come cereali, pane e legumi. Lo scopo di questo step è rieducare le proprie abitudini per acquisire uno stile alimentare sano e variato, basato su un corretto bilanciamento dei vari nutrienti: carboidrati, proteine e grassi. È il momento giusto per riscoprire il benessere psicofisico che deriva da un leggero ma regolare esercizio fisico, compagno di viaggio per non incorrere in ricadute e non recuperare i chili persi.

 

DIETA CHETOGENICA: molto più di una dieta, un protocollo terapeutico

Spesso dibattuta, la dieta chetogenica è uno strumento dalle numerose potenzialità: impiegata nel dimagrimento, ma anche nel trattamento di disordini metabolici come il diabete di tipo II, le dislipidemie e le malattie cardiovascolari.

Questo particolare regime alimentare basa la sua efficacia sulla capacità del nostro organismo di utilizzare le riserve di grasso come primaria fonte di energia quando diminuisce la disponibilità di glucosio. La dieta chetogenica infatti si articola fondamentalmente su due principi: la riduzione drastica del consumo di carboidrati e la restrizione calorica, che solitamente si attesta intorno alle 800/900 kcal. Erroneamente viene spesso confusa con una dieta iperproteica e dall’elevato tenore di grassi animali. In realtà non è affatto così: si tratta piuttosto di una dieta ipocalorica in cui la quota proteica, che deve avere preferibilmente un alto valore biologico, viene mantenuta entro livelli fisiologici per preservare la massa muscolare.

È così possibile ottenere non soltanto una perdita di peso, ma raggiungere un dimagrimento effettivo a carico della massa grassa e non di quella magra, che invece non viene intaccata. Per sopperire alla mancanza di zucchero, grazie ad un processo di beta-ossidazione, il fegato produce delle molecole chiamate chetoni. Tali sostanze hanno un effetto euforizzante in grado di contrastare la sensazione di stanchezza e inibire la fame, che generalmente scompare dopo il 2°-3°giorno permettendo, nella maggior parte dei casi, di portare a termine la dieta con successo.

Naturalmente, come tutte le diete, anche la dieta chetogenica deve essere effettuata su indicazione del medico che personalizza il protocollo in base alle esigenze del paziente e deve essere seguita solo per brevi periodi. In linea di massima, la quota proteica corrisponde a 1-1,5 gr per kg di peso corporeo e oscilla tra i 50 e i 120 gr giornalieri. Mentre l’apporto di grassi è compreso tra i 20 e i 60 gr. Sono da preferire i cibi contenenti grassi insaturi come l’olio extravergine di oliva, la frutta secca e il pesce; mentre è opportuno limitare il consumo di carni grasse, formaggi stagionati e insaccati.

Occorre inoltre sfatare la leggenda metropolitana secondo la quale durante la dieta chetogenica i carboidrati vengono del tutto eliminati. Solitamente si tende a conservare una quota minima pari a 40-50 gr giornalieri in modo tale da evitare un eccessivo abbassamento del metabolismo basale e scongiurare l’effetto rebound, ossia il recupero di tutti i chili persi.

Grazie alla pluralità di vantaggi che offre, questo tipo di dieta risulta efficace in diverse situazioni. La rapidità dei risultati (si stima un calo medio di 1-1.5 kg a settimana), il mantenimento della massa muscolare e la riduzione del senso di fame rendono la dieta chetogenica particolarmente indicata nei casi di obesità e sovrappeso.

È un valido strumento terapeutico nelle persone affette da malattie metaboliche associate ad insulino-resistenza quali dislipidemie, diabete di tipo II e iperglicemia.

Inoltre, grazie al ridotto apporto di zuccheri, riduce il rischio di sviluppare stati infiammatori cronici, responsabili di patologie come il cancro, malattie muscoloscheletriche e neurodegenerative. Alcuni studi in corso rivelano una possibile applicazione della dieta chetogenica nel trattamento di patologie a carico del sistema nervoso come il Parkinson, grazie ad un abbassamento dei livelli di stress ossidativo, e l’Alzheimer, grazie alla capacità dei corpi chetonici di limitare i danni cellulari.

SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO: i sintomi più diffusi e le cause principali

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è un disturbo ormonale molto comune tra le donne in età fertile. Questa patologia causa un importante ingrossamento delle ovaie e lo sviluppo di microcisti. Le ovaie quindi non riescono più a rilasciare con regolarità gli ovuli da fecondare, rendendo spesso il concepimento difficoltoso. Infatti la sindrome dell’ovaio policistico è tra le principali cause dell’infertilità femminile.

Irregolarità nel ciclo, ritardi oltre le quattro settimane dall’ultima mestruazione, flusso prolungato ed elevati livelli di androgeni, ormoni tipicamente maschili, sono tra i campanelli d’allarme più indicativi di questa patologia, che alle volte può però essere asintomatica.

Anche fenomeni come irsutismo, acne e aumento di peso sono dovuti allo squilibrio ormonale, che favorisce l’aumento dei livelli di testosterone e androstenedione.

Attualmente non è ancora nota la causa all’origine di questa patologia. Gli studi dimostrano che l’ereditarietà rappresenta uno dei principali fattori di rischio, sebbene siano ancora poco chiari i meccanismi di trasmissione.

Sono sempre più numerose le ricerche che evidenziano la stretta correlazione che c’è tra l’insulina e la sindrome dell’ovaio policistico. Quasi il 70% delle donne che soffre di PCOS presenta insulino-resistenza e più del 50% è in sovrappeso o obesa. In particolare, si è visto che l’insulino-resistenza stimola le ovaie a formare cisti e a produrre una maggiore quantità di androgeni. Non a caso la cura dell’insulino-resistenza è spesso determinante nella risoluzione della sindrome dell’ovaio policistico, con il conseguente aumento della fertilità e il ripristino della regolarità del ciclo.

Si tratta dunque di una patologia complessa, che interessa non soltanto l’apparato riproduttivo, ma anche il sistema endocrino e per questo richiede un approccio integrato su diversi fronti: l’insulino-resistenza infatti aumenta il rischio di malattie metaboliche come il diabete di tipo di 2 e malattie cardiovascolari.

Attraverso l’ecografia ovarica e gli esami del sangue è possibile effettuare una diagnosi precoce che, insieme al mantenimento del proprio peso-forma, riduce notevolmente il rischio di complicanze. Una volta effettuata la diagnosi, sarà il medico a valutare la necessità o meno di una terapia farmacologica specifica.

In ogni caso, la prima mossa per la cura della sindrome dell’ovaio policistico passa attraverso l’adozione di uno stile di vita sano. Gli studi dimostrano che perdere almeno il 10% del peso favorisce il ripristino della regolarità del ciclo mestruale. Una dieta equilibrata e un regolare esercizio fisico sono prevenzione e cura di questa patologia, e non solo.

 

 

OSSIGENO-OZONO TERAPIA: i tre atomi del benessere

L’ossigeno-ozono terapia è un trattamento che utilizza una combinazione di ozono e ossigeno a scopo terapeutico. L’ozono (simbolo O3) è un gas composto da 3 atomi di ossigeno dal caratteristico odore agliaceo: una sorta di ossigeno potenziato, con notevoli proprietà terapeutiche. Nelle giuste concentrazioni e nel rispetto dei giusti dosaggi, costituisce un trattamento sicuro e particolarmente duttile.

In primo luogo, svolge un’importante azione di ossigenazione: l’ozono aumenta la capacità del sangue di ossigenare i tessuti, favorendo di conseguenza la riattivazione del microcircolo e una potente azione anti aging. Inoltre, la somministrazione di un agente ossidante come l’ozono risveglia gli enzimi antiossidanti che difendono l’organismo dall’attacco dei radicali liberi. Per questo, l’ossigeno-ozono terapia risulta utile nel contrastare le patologie croniche spesso correlate allo stress ossidativo. In più, viene largamente adoperato nei processi di disinfezione per le sue proprietà antibatteriche, antivirali e antifungine.

Grazie alle diverse proprietà terapeutiche l’ossigeno-ozono terapia trova numerosi campi di applicazione in medicina. Le modalità di somministrazione sono diverse e variano a seconda della patologia da trattare. Tra le procedure di più diffuse c’è l’autoemoterapia. Consiste cioè nel prelevare dal paziente stesso, per via endovenosa, attraverso uno specifico kit per infusione collegato all’ozonizzatore una quantità di circa 150 ml di sangue che successivamente viene esposta ad una miscela di ossigeno e ozono. In questo modo il sangue subisce delle modificazioni biochimiche per essere poi rimesso in circolo a circuito chiuso per via endovenosa. Questa tecnica permette al sangue venoso di ossigenarsi. Le pareti dei globuli rossi guadagnano elasticità e migliora la loro capacità di apportare ossigeno ai tessuti. A seconda della quantità di sangue usata e della modalità di esecuzione, è possibile distinguere la “Grande Autoemoterapia” (GAET) e la “Piccola Autoemoterapia” (PAET). La GAET viene impiegata soprattutto nel trattamento di deficit circolatori poiché riattiva il microcircolo e l’ossigenazione in tutte le parti del corpo, ma anche nella cura di malattie di origine virale e batterica. La PAET è invece usata soprattutto nel trattamento delle malattie che richiedono una spinta o una regolazione del sistema immunitario, comprese le allergie.

Nel trattamento di malattie intestinali infiammatorie si ricorre invece all’insufflazione dell’ozono per via rettale. Ma non è tutto. L’ossigeno-ozono terapia trova ampio spazio in ambito ortopedico, nella cura delle malattie osteoarticolari per la sua azione analgesica e antinfiammatoria. Le iniezioni intra articolari, infatti, risultano efficaci in caso di artrosi e artrite poiché permettono il rilascio di fattori di crescita che favoriscono la rigenerazione osteoarticolare, oltre ad alleviare i sintomi del dolore. L’ozono è raccomandato anche nel trattamento di protrusioni o ernie discali sotto forma di infiltrazioni intramuscolari locali. Infine per le sue proprietà antibatteriche, antivirali e fungicide è utile in caso di ferite infette o di dermatiti.

Recenti studi dimostrano la validità dell’ossigeno ozonoterapia anche in oncologia, come coadiuvante durante il trattamento di chemio e radioterapia. Affiancata al protocollo terapeutico, l’ozono terapia svolge una duplice azione: da un lato contrasta gli effetti collaterali della chemioterapia, dall’altro ne potenzia i benefici. Si è visto che la scarsità di ossigeno indebolisce le difese immunitarie dell’organismo e crea un ambiente acido, ideale per la proliferazione delle cellule tumorali. L’ozono, invece, aumenta l’ossigenazione dei tessuti: in questo modo rinforza le difese immunitarie e alcalinizza l’ambiente, contrastando la crescita del tumore.

Come abbiamo visto, l’ossigeno-ozono terapia presenta diverse indicazioni terapeutiche. Solitamente il protocollo prevede un ciclo iniziale di 6-10 sedute a cadenza  bisettimanale, seguite da una seduta mensile di mantenimento. La versatilità e la sicurezza di questo trattamento, rendono l’ossigeno-ozono terapia un prezioso alleato di salute e benessere.

 

Radicali liberi: nemici di salute e giovinezza

Se presenti nelle giuste quantità, i radicali liberi svolgono un’importante funzione per il nostro organismo poiché combattono l’insorgere di alcune malattie. Per contro, l’eccesso di radicali liberi è oltremodo nocivo e correlato a numerose patologie. Ascoltando ed osservando il nostro corpo è possibile individuare alcuni campanelli d’allarme.

Ad esempio, l’invecchiamento precoce della pelle è uno dei primi sintomi di stress ossidativo. La pelle diventa secca, perde elasticità e si segna più velocemente soprattutto in viso. Così come capelli sfibrati, fragili e pieni di doppie punte potrebbero essere indice di un eccesso di radicali liberi. Inoltre alcuni studi sostengono che c’è una correlazione tra le malattie infiammatorie della pelle, come ad esempio la psoriasi, e lo stress ossidativo. Sembrerebbe infatti che lo stress ossidativo indebolisca le difese immunitarie dell’organismo, favorendo così gli stati infiammatori. Secondo alcune ricerche pare che lo stress ossidativo sia anche alla base di un’altra patologia della pelle: la vitiligine, che si manifesta con la comparsa di chiazze biancastre sulla cute a causa di una ridotta quantità di melanina. Nei soggetti che ne soffrono è stato riscontrato un deficit dell’enzima catalasi, la cui funzione principale è bloccare il radicale perossido di idrogeno. I capelli e la pelle, dunque, esprimono non soltanto il nostro aspetto esteriore, ma rivelano lo stato di salute dell’intero organismo: i segni dell’invecchiamento cutaneo tradiscono infatti i danni ed il deterioramento cui tutti gli altri organi stanno andando incontro.

Tanto è vero che lo stress ossidativo aumenta il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari o processi arteriosclerotici. L’ossidazione infatti trasforma il “colesterolo buono” in “colesterolo cattivo”, che viene poi mandato in circolo con il sangue. Il colesterolo cattivo (LDL) in eccesso tende ad accumularsi sulla parete dei vasi fino a creare una placca arteriosclerotica che progressivamente cresce, rallentando così il flusso del sangue. Questo fenomeno nel tempo può indurre a gravi complicazioni come infarto del miocardio, trombosi e ictus.

L’ossidazione lipidica, causata da un’eccessiva quantità di radicali liberi, non coinvolge solo l’apparato cardiovascolare ma anche il fegato. Favorendo l’accumulo di grasso nelle cellule epatiche aumenta il rischio di steatosi epatica, patologia comunemente nota come “fegato grasso”. Sono sempre più numerosi poi gli studi che dimostrano la correlazione che c’è tra le malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e l’Alzheimer, ad esempio, e l’elevato livello di stress ossidativo. Si è visto come l’eccesso di radicali liberi determini un’alterazione mitocondriale e intacchi direttamente il DNA delle cellule. Ed è proprio l’alterazione del DNA uno dei principali fattori di rischio nello sviluppo dei tumori. A tal proposito entrano in gioco gli antiossidanti, che svolgono un ruolo chiave nella prevenzione. Un consumo quotidiano di almeno 5 porzioni di frutta e verdura, fonti naturali di vitamine e antiossidanti, riducono il rischio di tumori. Nello specifico la combinazione di vitamina C e vitamina E è molto efficace nel contrastare l’azione dei radicali liberi, ostacolando quindi la formazione di cellule cancerogene.

Le conseguenze dello stress ossidativo interessano tutte le cellule dell’organismo. Elevati livelli di radicali liberi possono portare all’infertilità sia maschile sia femminile poiché compromettono l’integrità tanto degli ovuli quanto degli spermatozoi. Lo stress ossidativo può condizionare anche la funzionalità della tiroide, causando infiammazione e alterando la sintesi degli ormoni tiroidei. Il deterioramento causato dai radicali liberi non risparmia certamente le ossa, che sono tra le prime a risentire dello stress ossidativo. L’ossidazione infatti è tra le principali cause di osteoporosi, una malattia sistemica dello scheletro che porta alla demineralizzazione e fragilità delle ossa. Sono inoltre ancora in corso degli studi che proverebbero la correlazione tra lo stress ossidativo e la fibromialgia. Si tratta di una patologia caratterizzata da dolore muscolare cronico e rigidità delle articolazioni, causate da un eccesso di radicali liberi.

Dunque se i danni causati dallo stress ossidativo si manifestano nel tempo, la medicina anti aging offre una preziosa opportunità di prevenzione nell’immediato.

 

Dieta in menopausa: ecco come cambia l’alimentazione

La menopausa è un fenomeno fisiologico nella vita biologica della donna caratterizzato dalla scomparsa del ciclo mestruale. L’assenza per 12 mesi consecutivi delle mestruazioni indica l’ingresso in questa nuova fase della vita e la fine dell’età fertile. Generalmente tra i 45 e i 55 anni, infatti, le ovaie smettono di produrre gli ovuli e gli estrogeni.

Questo comporta un drastico cambiamento dell’equilibrio ormonale, ma non solo. L’arrivo della menopausa è preceduta da una progressiva irregolarità del ciclo mestruale e accompagnata da diversi sintomi. Molte donne accusano vampate di calore, sudorazione notturna, disturbi del sonno, calo del desiderio sessuale. Ma anche nervosismo, stress, secchezza della pelle, della mucosa vaginale e perdita del tono muscolare. Tuttavia una delle ansie più comuni riguarda la bilancia e la paura di prendere peso irreversibilmente.

A causa della riduzione degli estrogeni, infatti, il metabolismo basale rallenta e si verifica un naturale incremento della massa grassa a scapito di quella magra. È facile quindi che si registri un certo aumento di peso. Inoltre con la menopausa cambia proprio la distribuzione del grasso corporeo. Si passa cioè dalla classica “forma a pera” alla cosiddetta “forma a mela”: se in età fertile si tende accumulare il grasso in eccesso su cosce e fianchi; in menopausa, invece, il tessuto adiposo si concentra sul girovita.

Infine la diminuzione dei livelli di estrogeni, fondamentali nel metabolismo dei grassi, provocano un aumento del colesterolo cattivo (LDL) a scapito di quello buono (HDL). Questo fenomeno aumenta l’incidenza di malattie cardiovascolari. Infine, con la menopausa cresce anche il rischio di osteoporosi a causa della riduzione del calcio nelle ossa.

Pertanto per mantenere il peso forma anche in menopausa e soddisfare il fabbisogno di tutti i micro e macronutrienti necessari occorre seguire una dieta equilibrata ed uno stile di vita sano. Si raccomanda quindi di consumare cibi ricchi di calcio presente in diversi ortaggi come cicoria, radicchio verde, spinaci, nella frutta secca a guscio e nei semi oleaginosi (sesamo, lino, zucca, girasole). Per prevenire il rischio di osteoporosi è quindi utile integrare alla propria dieta la vitamina D, che facilita l’assimilazione del calcio. Inoltre non tutti sanno che anche una regolare esposizione ai raggi solari per soli 20 minuti al giorno permette all’organismo di alzare i livelli di vitamina D.

Si consiglia di ridurre il consumo di bevande alcoliche e di caffè, che, oltre a peggiorare l’insonnia, rallenta l’assorbimento del calcio. È buona norma ridurre il consumo di sale e bere almeno 2 litri di acqua al giorno per contrastare la ritenzione idrica e la pressione alta. Consumare proteine ad alto valore biologico come pesce azzurro e salmone garantisce un adeguato apporto di omega 3, che proteggono dalle malattie cardiovascolari e tengono sotto controllo i livelli del colesterolo cattivo. Non devono mancare naturalmente frutta e verdura in abbondanza, che, grazie all’elevato tenore di fibre, favoriscono la regolarità intestinale e aumentano il senso di sazietà.

Per ridurre il rischio di sviluppare diabete è bene preferire agli zuccheri raffinati i cereali integrali, ricchi in fibre e con un basso indice glicemico. Infine, sempre per evitare picchi glicemici e prevenire l’aumento di peso, è opportuno evitare il consumo di dolci, bevande gassate e zuccherine.

Si raccomanda di praticare una moderata ma regolare attività fisica, affidandosi ai consigli di un personal trainer esperto. Sarebbe ideale alternare sessioni aerobiche a sessioni anaerobiche. L’attività aerobica previene l’aumento di peso perché permette di bruciare molte calorie e ha effetti benefici sull’apparato cardiovascolare.  Ad esempio, basta una camminata a passo svelto della durata di 30-45 minuti al giorno per bruciare i grassi. Le sedute di tonificazione, invece, non solo permettono di migliorare il tono muscolare e avere un corpo più scolpito, ma favoriscono anche l’incremento della massa magra che, a sua volta, comporta un aumento del metabolismo basale. In questo modo si instaura un circolo virtuoso che permette di mantenere il peso forma e di ritrovare benessere e vitalità.

Dieta del ciclo: 28 giorni per sentirsi in forma

Gli ormoni giocano un ruolo chiave nel binomio tra alimentazione e salute, soprattutto nell’universo femminile. Quindi per mantenersi in forma è necessario comprendere esattamente come funzionano gli ormoni durante i 28 giorni del ciclo.

Con la fase mestruale, che può durare da 3 a 7 giorni, si verifica un abbassamento dei livelli ormonali sia di estrogeni sia di progesterone. L’organismo ha la possibilità di “disintossicarsi”, preparando l’utero e le ovaie ad affrontare al meglio le successive fasi del ciclo. È il momento giusto per drenare e depurarsi, mangiando abbondanti quantità di frutta e verdura fresche di stagione e assumendo un’adeguata quantità di liquidi. Bere molta acqua, tisane e centrifugati favorisce l’eliminazione delle scorie accumulate e contrasta la ritenzione idrica. Per combattere la tipica sensazione di spossatezza e affaticamento, dovuta alla perdita di ferro, può essere utile consumare una volta alla settimana della carne rossa preferibilmente biologica. Anche durante la fase mestruale è possibile praticare una regolare attività fisica. Pilates e Yoga sono tra le discipline più indicate perché permettono di allungare la muscolatura e di migliorare la respirazione.

Durante la fase estrogenica, che va dal settimo fino al 14esimo giorno, si assiste alla maturazione dei follicoli ovarici. L’innalzamento dei livelli di estrogeni regala alla donna una ritrovata bellezza e vitalità. È il momento migliore per dedicarsi ad un’attività fisica più intensa, come ad esempio allenamenti funzionali che integrano lavoro aerobico ed esercizi di tonificazione. Per fare il pieno di energie si consiglia quindi di puntare sulle proteine ad alto valore biologico contenute nel pesce, nella carne e nelle uova. Inoltre, poiché estrogeni ed insulina sono legati a doppio filo, è bene mantenere la cosiddetta “calma insulinica” evitando cibi ad alto contenuto glicemico. Meglio optare per cereali integrali ricchi di fibre ed evitare gli zuccheri raffinati, che favoriscono la formazione dei famosi cuscinetti adiposi e della pelle a buccia d’arancia. Via libera agli alimenti ricchi di antiossidanti come olio extravergine d’oliva e frutta secca, ottimo spuntino tra un pasto e l’altro.

Intorno al 14esimo giorno del ciclo avviene l’ovulazione vera e propria, ossia la rottura del follicolo e la fuoriuscita dell’uovo che è pronto per essere fecondato. Sono questi i giorni fertili del mese. In questa fase può essere utile inserire nella propria dieta le uova, che facilitano l’attività ovulatoria grazie all’elevato tenore di vitamina B. Sono anche i giorni in cui la glicemia “impazzisce” causando un incontrollabile desiderio di carboidrati, ed in particolar modo di dolci.

Dopo l’ovulazione, dal 14esimo al 28esimo giorno, inizia la fase progestinica. L’aumento del livello del progesterone e del testosterone provoca una maggior produzione di sebo che rende la pelle più grassa e può causare la comparsa di qualche brufoletto. Questa fase è spesso accompagnata da gonfiore e disturbi intestinali, come diarrea o stitichezza. Niente paura se la bilancia segna in questi giorni uno o due chili in più. È molto probabile si tratti solo di ritenzione idrica, causata proprio dal progesterone. Verdure crude come radicchio, sedano, asparagi e verdure amare come cicoria, cardi, tarassaco limitano l’accumulo dei liquidi in eccesso, per le loro proprietà drenanti. Si consiglia invece di evitare le crucifere, come i cavoli, che possono aumentare il meteorismo intestinale. Via libera a mandorle, anacardi e semi di zucca, che grazie all’elevato contenuto di magnesio contribuiscono a stabilizzare il tono dell’umore e combattere la sensazione si stanchezza. Si raccomanda anche di consumare pesce, fonte di proteine nobili e omega 3.

Negli ultimi giorni del ciclo, che precedono l’arrivo delle mestruazioni, i livelli di progesterone e di estrogeni tendono nuovamente ad abbassarsi. Questo calo spesso determina la comparsa di forti mal di testa tipici della cosiddetta sindrome premestruale.  Inoltre, la diminuzione dei livelli di serotonina (l’ormone del buonumore) e l’aumento del cortisolo (l’ormone dello stress) possono provocare repentini sbalzi d’umore e una sorta di fame nervosa. Per soddisfare il desiderio di dolce è bene concedersi un quadratino di cioccolato fondente. Le sue proprietà antiossidanti e l’elevato tenore di triptofano, che favorisce la sintesi della serotonina, aiutano a ritrovare il buonumore e a combattere lo stress. In questa fase del ciclo, si consiglia di optare per un’attività fisica prolungata ma dalla moderata intensità come una bella camminata a passo sostenuto o una leggera corsetta.

 

Tiroide: mettila a dieta!

La tiroide è una ghiandola endocrina situata nel collo. Esercita un ruolo di fondamentale importanza nel nostro organismo: regola molte funzioni vitali, dal metabolismo energetico al mantenimento della salute delle ossa, dallo sviluppo cerebrale in età evolutiva alla fertilità della donna.

Eppure i problemi legati a questa delicata ghiandola sono numerosi e sempre più diffusi, specialmente nelle donne. Le patologie più comuni sono l’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo. Nel soggetto ipotiroideo, la ghiandola è sostanzialmente pigra e lavora poco. Chi ne soffre spesso ha difficoltà a dimagrire, tendenza al sovrappeso, ritenzione idrica, stitichezza, mani e piedi freddi. Accusa stanchezza e spossatezza cronica, ma anche alterazioni dell’umore come apatia o addirittura stati depressivi. Il paziente ipertiroideo invece ha una ghiandola che lavora troppo, più del necessario. Sono perlopiù soggetti iperattivi e naturalmente propensi al dimagrimento. Presentano spesso tachicardia, stati d’ansia e disturbi del sonno. Queste sono solo due tra le più comuni patologie che interessano la tiroide, insieme alla tiroidite di Hashimoto, alla formazione dei noduli tiroidei e al gozzo.

I sintomi del malfunzionamento della tiroide sono molto vari ed è bene non trascurarli. Sono molti gli esami a nostra disposizione per indagare lo stato di salute della tiroide: esami del sangue, ecografia tiroidea, temperatura basale, studio del microbioma intestinale e dello stato generale di stress. Solo grazie ad una valutazione globale è possibile individuare quali sono le cause dello squilibrio e ripristinare il corretto funzionamento della tiroide per ritrovare benessere, vitalità e concentrazione mentale.

Le patologie della tiroide ad oggi sono curabili farmacologicamente. Tuttavia attraverso una dieta mirata e personalizzata possiamo allenare la nostra tiroide e rieducarla ad un regolare funzionamento. Al fine di ripristinare l’equilibrio tiroideo e di consentire all’organismo di “ripararsi” da solo è necessario privilegiare gli alimenti ricchi di micronutrienti necessari per la sintesi degli ormoni tiroidei, come il selenio, lo zinco, lo iodio, la tirosina e il ferro. Si raccomanda anche il consumo di alimenti ricchi di vitamine: come la vitamina A, vitamine D e B che intervengono nel metabolismo e contrastano i processi infiammatori, che sono tra le principali cause dello squilibrio della tiroide.

Si raccomanda di portare in tavola frutta e verdura fresche di stagione, che garantiscono un buon apporto di selenio. Pesce, ricco di omega 3 e fonte di iodio, ma anche uova e carne biologica. Fibre e cereali senza glutine, come riso e grano saraceno. Non deve inoltre mancare la frutta secca, per l’elevato tenore di omega 3 e micronutrienti quali zinco e selenio che regolano l’attività della tiroide. L’olio extravergine d’oliva è un ottimo condimento per i nostri piatti e apporta grassi sani. Via libera all’uso di spezie ed erbe aromatiche, come timo, salvia e rosmarino.

L’obiettivo è quello di disintossicare l’organismo e per farlo è necessario evitare gli alimenti che favoriscono i processi infiammatori. Sono infatti del tutto sconsigliati i cereali contenenti il glutine, soprattutto il frumento, ma anche l’orzo, il kamut e la segale. Da evitare anche il latte e i suoi derivati, ma anche la soja che interferisce con il funzionamento della tiroide. Si suggerisce di limitare anche le solanacee come pomodoro, melanzane e peperoni, che irritano l’intestino, compromettendo l’attività della tiroide. Le crucifere (cavolo, verza, broccoli, cavolfiore, broccoletti) perdono gran parte della loro proprietà gozzigena, anti-tiroidea con la cottura, se ne raccomanda pertanto un uso moderato.

Nell’ottica di un approccio integrato, la combinazione tra terapia farmacologica, laddove necessaria, dieta personalizzata e integratori specifici è la sinergia vincente per ripristinare il corretto funzionamento della tiroide e ritrovare energie e benessere.

 

Le domande delle mamme al dottore…..

Il dottor. Emanuele De Nobili, specialista in Otorinolaringoiatria e Idrologia Medica,  nonchè Direttore Sanitario delle Terme di Levico e Vetriolo fino al 2011, risponde alle domande.

Le domande delle mamme al dottore

1)   Quando è il periodo migliore per portare il mio bambino alle terme  per usufruire delle cure inalatorie?

Generalmente per motivi legati alle

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